IL COMMISSARIO AGLI USI CIVICI
    Ha pronunciato la seguente ordinanza, a scioglimento della riserva
 implicitamente  presa  all'udienza  del 28 febbraio 1995, nella causa
 demaniale  avente  per   oggetto:      opposizione   a   liquidazione
 amministrativa  di usi civici sulle terre private, site nel comune di
 Sutri e censite in  catasto  al  f.  7,  part.    552,  pendente  tra
 Filippeschi Mario, residente in Roma, via Guido Cora, 12, autorizzato
 a stare in giudizio di persona e rappresentato dal dott. agr. Giorgio
 Colli  di  Roma;  domicilio  legale: la segreteria del commissariato;
 procura alle liti: nessuna; contro il comune di Sutri, casa comunale;
 difensore: nessuno; il comune e' rimasto contumace.
                         M O T I V A Z I O N E
    1. - Con ricorso depositato in questa  segreteria  il  29  ottobre
 1993,   Filippeschi   Mario   si   opponeva  contro  la  proposta  di
 liquidazione  degli  usi  civici  gravanti  su  un  terreno  di   sua
 proprieta',   sito   in   comune  di  Sutri,  loc.  S.  Benedetto,  e
 contraddistinto al n.c.t. al f. 7, part. 552.  La perizia, redatta su
 incarico della regione Lazio, dal geom.  Guerrino Randolfi, era stata
 pubblicata all'albo pretorio di Sutri dal 15  settembre  1993  al  15
 ottobre 1993; notizia dell'avvenuto deposito era stato comunicata dal
 sindaco  al  Filippeschi con raccomandata, notificatagli dal messo di
 conciliazione il 4 ottobre 1993.   Nel suo  ricorso,  il  Filippeschi
 sostiene,  con  varie  argomentazioni,  che: a) non si hanno elementi
 certi circa l'esistenza dell'uso civico; b) il capitale  di  affranco
 non  puo'  superare L.   2.332.880.  Sulla base del ricorso in esame,
 con decreto 31 marzo 1994 il  sottoscritto  commissario  ordinava  la
 comparizione  personale delle parti per l'udienza del 25 giugno 1994;
 ricorso e decreto erano notificati a cura dell'ufficio  commissariale
 al sindaco di Sutri, con raccomandata n. 18 del 25 giugno 1994, ma il
 comune   convenuto   restava  contumace.     In  corso  di  giudizio,
 all'udienza del 21 ottobre 1994, veniva disposta  consulenza  tecnica
 sul  terreno  del  ricorrente,  sia  al fine di accertare se esso sia
 gravato da usi civici e quali, che al fine di stimare il valore degli
 usi da liquidare.   Il perito  incaricato,  geom.  Angelo  Benedetti,
 depositava  la propria relazione il 18 febbraio 1995; all'udienza del
 28 febbraio, il ricorrente depositava peraltro copia  della  delibera
 di  giunta  regionale  n.  6091  del  5  agosto  1994, che aveva reso
 esecutivo il progetto Randolfi, statuendo l'affrancazione del diritto
 civico di pascolo e imponendo al ricorrente un  canone  annuo  di  L.
 484.000,  pari  ad  un  capitale  di affranco di L. 9.680.000.   Alla
 medesima udienza, sempre nella contumacia del  comune  di  Sutri,  il
 commissario invitava i ricorrenti a prendere le proprie conclusioni e
 tratteneva la controversia in decisione.
    2.  -  La  vicenda  processuale  e  il  parallelo  procedimento di
 competenza regionale, concluso con la citata  delibera  n.  6091/1994
 della giunta regionale del Lazio, si prestano o varie considerazioni,
 sia di rito che di merito, anche di rilievo costituzionale.
    2.1.  -  Una  prima  considerazione riguarda proprio il rapporto e
 l'articolazione reciproca delle due procedure,  aventi  entrambe  per
 oggetto  la liquidazione di usi civici gravanti sul medesimo terreno,
 l'una pendente  davanti  alla  regione  territorialmente  competente,
 l'altra  pendente davanti al commissario agli usi civici, in qualita'
 di  giudice demaniale.  Nello schema originario della legge 16 giugno
 1927, n. 1766, il commissario,  quale  organo  titolare  insieme  dei
 poteri  amministrativi  e  dei  poteri  giudiziari,  poteva regolarne
 l'esercizio in modo da  evitare  sovrapposizioni  e  conflitti.    In
 pratica,  egli  promuoveva  d'ufficio,  in  sede  amministrativa,  il
 procedimento per la liquidazione dei diritti civici  relativi  ad  un
 intero  comune  o ad un intero comprensorio, a tale scopo incaricando
 un istruttore per la formazione di un adeguato progetto. Il progetto,
 contenente sia le informazioni di carattere storico sugli usi  civici
 da liquidare, sia le proposte per lo loro liquidazione in natura o in
 denaro,   veniva   depositato  presso  la  segreteria  del  comune  o
 dell'associazione agraria territorialmente competenti;  dell'avvenuto
 deposito,  il  comune  o  l'associazione  davano poi avviso a ciascun
 interessato, sia mediante bando da affiggersi all'albo pretorio,  sia
 mediante  biglietto in carta libera, da notificare personalmente. Fin
 dal deposito  in  segreteria,  gli  interessati  avevano  diritto  di
 prendere visione del progetto di liquidazione; i privati nel possesso
 delle  terre  potevano  inoltre presentare opposizione al commissario
 entro trenta giorni da quello dell'avvenuta  notifica  (art.  15  del
 r.d.  26 febbraio 1928, n. 332).  Il procedimento seguito nel caso di
 specie si adeguava perfettamente, fino a questo  punto,  allo  schema
 normativo;   da   notare,  in  particolare,  che  il  Filippeschi  ha
 presentato  il   proprio   ricorso   direttamente   al   commissario,
 venticinque  giorni  dopo  che  gli  era stato notificato l'avviso di
 deposito della relazione peritale; che, dunque, l'azione  giudiziaria
 del  Filippeschi  appare  perfettamente legittima e procedibile.   Ma
 l'azione giudiziaria in opposizione, promossa dal Filippeschi, non ha
 determinato  il  suo  effetto  normale,  cioe'  la  sospensione   del
 procedimento  amministrativo  opposto; questo ha invece proseguito il
 proprio corso fino alla conclusione, cioe' fino alla delibera con  la
 quale il progetto di liquidazione dei diritti civici e' stato accolto
 dalla  giunta  regionale  Lazio  e  gli usi stessi dichiarati estinti
 mediante corresponsione di un canone in denaro.  E' da avvertire  che
 in  nessun  luogo della legge fondamentale o del relativo regolamento
 si rinviene una disposizione, che esplicitamente  sancisca  l'obbligo
 di  sospendere  le  operazioni  amministrative  prima della decisione
 giudiziaria  destinata  a   concludere   la   controversia   promossa
 dall'interessato davanti al commissario agli usi civici; tale obbligo
 deriva peraltro pacificamente dalla natura stessa della giurisdizione
 commissariale,  quale  e' disegnata dal legislatore del 1927 e quale,
 in mezzo a molte deroghe, si e'  sostanzialmente  mantenuta  fino  al
 1977.    Trattasi di giurisdizione prevalentemente incidentale, cioe'
 accessoria  e  subalterna  alle  operazioni  amministrative  cui   il
 commissario doveva primieramente sovrintendere; di una giurisdizione,
 in  altri  termini, destinata a risolvere "tutte le questioni cui dia
 luogo lo svolgimento di  quelle  operazioni"  (cfr.  art.  29,  comma
 secondo, della legge n. 1766/1927), per consentire loro di proseguire
 e  di  raggiungere  il  proprio  termine  su  basi  di  certezza e di
 indefettibilita', quali solo un giudicato puo' garantire.  E'  dunque
 vero   che  in  nessun  luogo  e'  prescritta  la  sospensione  delle
 operazioni amministrative, ma e' anche  vero  che  la  stessa  natura
 incidentale   della   giurisdizione  commissariale  e  la  rafforzata
 effettivita'  delle  decisioni  che  la  esprimono  (parallela   alla
 naturale  immediata  efficacia dei provvedimenti amministrativi; cfr.
 tutto   l'art.   32   della  legge  fondamentale)  mostrano  come  la
 sospensione delle operazioni amministrative doveva essere, secondo il
 legislatore del '27, nell'ordine delle cose.  Essa era in  ogni  caso
 garantita  dall'unicita'  dell'organo  deputato  a  procedere; quello
 stesso commissario, che procedeva in via amministrativa,  era  anche,
 infatti,  il  giudice  delle  controversie  sorte  nel  corso di quel
 procedimento  e,  quando  avesse  ravvisato   una   loro   intrinseca
 pregiudizialita',  non  avrebbe  certo  avviato questo a conclusione,
 senza prima decidere quelle  con  sentenza.    Il  trasferimento  dei
 poteri  amministrativi  alle  regioni ha sconvolto questo schema, non
 gia'  perche'  astrattamente  non  sia  ancor  oggi  ipotizzabile  la
 sospensione,    obbligatoria    o    volontaria,   del   procedimento
 amministrativo di  competenza  regionale,  in  pendenza,  davanti  al
 commissario,  di  un  procedimento giurisdizionale, avente ad oggetto
 questioni pregiudiziali, bensi', perche' si  e'  spezzata  l'unicita'
 dell'organo  procedente e non e' stata introdotta alcuna norma atta a
 garantire il passaggio delle necessarie  informazioni  da  un  organo
 all'altro.    Il  caso  di  specie,  da  questo  punto  di  vista, e'
 assolutamente  esemplare;  dopo  la  pubblicazione  del  progetto  di
 liquidazione   redatto  dal  geom.  Guerrino  Randolfi  per  incarico
 dell'amministrazione regionale, il sig.  Filippeschi  indirizzava  il
 suo  ricorso  in  opposizione  al  commissariato agli usi civici e lo
 depositava in questa segreteria nei  termini  previsti  dalla  legge,
 senza  darne  notizia alcuna alla amministrazione procedente; nessuna
 notizia ufficiale  ne  era  data  neppure  dal  commissario,  perche'
 nessuna  disposizione  di  legge  o  di  regolamento  la  impone o la
 prescrive.   Traccia della  conseguente  disinformazione  e'  proprio
 nella  delibera  regionale  che  il  5  agosto  1994 provvedera' alla
 liquidazione degli usi civici secondo la proposta  del  Randolfi;  in
 essa si legge che avverso al progetto di liquidazione dell'uso civico
 non   sono   state   presentate   opposizioni,   mentre  il  presente
 procedimento prova esattamente il contrario.   Ben  puo'  immaginarsi
 che  questo  o  quel  funzionario  regionale  abbia avuto del ricorso
 notizia ufficiosa, ben puo' immaginarsi che la stessa amministrazione
 regionale sarebbe andata avanti per la sua strada anche se ne  avesse
 avuto   conoscenza   ufficiale;   ma   si  tratta  per  l'appunto  di
 immaginazioni senza fondamento e senza conseguenze.  E' un fatto  che
 oggi,  nel  sistema  residuato  dalle  trasformazioni e modificazioni
 della legge 16 giugno 1927 n. 1766, non  esiste  alcuna  disposizione
 atta  ad  evitare  la  pendenza,  contemporanea  e  parallela, di due
 distinti  procedimenti,  aventi  carattere,  l'uno,   amministrativo,
 l'altro,  giurisdizionale,  destinati  a  sfociare in due distinte (e
 potenzialmente contraddittorie) decisioni sul medesimo oggetto e  tra
 le medesime parti.
    2.2.  -  Cio'  che  e'  possibile  in fatto non e' necessariamente
 legittimo alla luce  dei  principi  costituzionali;  questa  inattesa
 concorrenzialita',    che    finisce    per    opporre   l'iniziativa
 amministrativa a quella giurisdizionale, caratterizzando la prima  in
 termini  di  assoluta  discrezionalita'  e revocando ad ogni passo in
 dubbio la certezza e la definitivita' della seconda, potrebbe  essere
 prospettata,  infatti,  almeno in termini di conflitto con i principi
 di imparzialita' e di correttezza dell'azione amministrativa (art. 97
 della Costituzione).  Pare, tuttavia, allo scrivente commissario che,
 o prescindere dalla  illegittimita'  costituzionale  della  normativa
 procedimentale,  nella  parte  in  cui consente - o non previene - il
 formarsi contemporaneo, in sede amministrativa e in sede giudiziaria,
 di due decisioni contraddittorie sul medesimo  oggetto,  il  rilevato
 conflitto  possa  essere,  almeno  nel caso di specie, risolto, senza
 impegnare la Corte delle leggi in un riesame,  che  ha  la  sua  sede
 propria  in  Parlamento.    Sembra,  in altri termini, che il giudice
 demaniale,  in  quanto  pervenga  alla  sua  decisione  dopo   quella
 amministrativa,  possa  esaminare  questa nel merito e disapplicarla,
 riaffermando il diritto soggettivo violato, ove essa sia  affetta  da
 un  qualche  vizio  rilevante;  rimanendo da esso vincolato e dovendo
 pertanto riconoscere cessata la materia del contendere, quando  trovi
 quella delibera immune da ogni vizio di legittimita'.
    2.3. - Anche questo diverso e piu' economico percorso non consente
 tuttavia  di evitare una nuova, e maggiore, questione di legittimita'
 costituzionale, che attiene questa volta non al rito,  ma  al  merito
 della  controversia,  promossa  da  Filippeschi  Mario, e che spiega,
 meglio delle  considerazioni  formali  fin  qui  svolte,  le  ragioni
 sostanziali  del rilevato conflitto di attribuzioni tra commissariato
 e regione.
    Come e' noto, la legge 16 giugno 1927,  n.  1766,  in  alternativa
 alla liquidazione per scorporo o divisione delle terre gravate (artt.
 5  e  6  legge cit.), consente, per "tutti i piccoli appezzamenti non
 raggruppabili in unita' agrarie" (art. 7, comma primo, della legge n.
 1766/1927 cit.), la liquidazione degli usi civici in denaro  o,  come
 si  dice, mediante imposizione di canone.  Per quanto non rigidamente
 determinati dalla legge  nella  loro  estensione,  debbono  ritenersi
 piccoli appezzamenti "non raggruppabili in unita' agrarie" tutti quei
 terreni,  che  -  da  soli,  o  riuniti  con  quelli  viciniori - non
 consentono  per  le  loro   dimensioni   una   gestione   agraristica
 sufficientemente  economica  e  remunerativa.    Il concetto e' molto
 elastico  e  puo'  trovare  applicazioni  diverse  in  varie   epoche
 storiche;  in  particolare,  esso si avvicina, ma non si identifica a
 quello della minima unita' colturale, consacrato dal codice civile e,
 infatti, si applica de plano, oggi, anche a quei terreni che, per  le
 trasformazioni  edilizie  o urbanistiche da cui sono stati investiti,
 non sono piu' ragionevolmente convertibili alla produzione agraria, a
 patto, che si  tratti  di  piccoli  appezzamenti,  cioe'  di  terreni
 insuscettibili,  ove  per  ipotesi  ricondotti  all'uso  agrario,  di
 qualche apprezzabile rendimento.  La superficie dei  terreni  oggetto
 della  presente  causa e' di soli 4.840 mq (cfr. relazione Randolfi e
 relazione Benedetti); che essi vadano esenti da ogni divisione e  che
 il  corrispettivo  degli  usi  civici  da liquidare vada stabilito in
 denaro, appare ictu oculi dalle stesse loro ridotte dimensioni ed e',
 del resto, opinione condivisa da tutti, anche  dalla  regione  Lazio.
 Le   opinioni   divergono   nuovamente,   tuttavia,   in   punto   di
 determinazione  del  corrispettivo  pecuniario  della   liquidazione.
 Secondo  l'art. 7, comma primo, della legge 16 giugno 1927, n.  1766,
 infatti, i piccoli appezzamenti insuscettibili di utilizzi  agrari  e
 gli  altri  terreni esenti dalla divisione, saranno ( ..)  gravati da
 un annuo canone di natura enfiteutica ( ..), in misura corrispondente
 al valore dei diritti, da stabilirsi con perizia ( ..; al  contrario,
 secondo  l'art.  4,  legge  regionale  Lazio  3  gennaio  1986, n. 1,
 allorche' si procede alla liquidazione  degli  usi  civici,  le  zone
 gravate  di  uso  civico  (  ..)  sono stimate secondo il loro valore
 attuale,  tenuto conto anche dell'incremento di valore che esse hanno
 conseguito  per  effetto  della  destinazione  o  delle   aspettative
 edificatorie.    V'e'  tra le due disposizioni un'evidente contrasto,
 che  viene  esaltato,   come   presto   si   vedra',   dalla   prassi
 amministrativa;  una cosa, infatti, e' "il valore dei diritti", cioe'
 le modeste somme  corrispondenti  alla  capitalizzazione  dei  ricavi
 netti,  o  carattere agraristico, derivanti per es. dalla vendita del
 fieno o della legna, una cosa ben diversa e' "il  valore  delle  zone
 gravate",  comprensivo  della  rendita  derivante dalla intervenuta o
 sperata urbanizzazione, come il mercato lo determina.   Va  osservato
 che  la normativa regionale, nel prescrivere il riferimento al valore
 delle aree, non dice in che  misura  questo  vada  ripartito  tra  il
 titolare  del  diritto di proprieta' e i titolari dei diritti civici.
 Nella prassi, come risulta anche dalla perizia Randolfi,  si  procede
 in primo luogo a determinare il valore di mercato dell'intero terreno
 gravato  (nel  nostro  caso,  L.  12.000  a  mq, pari a L. 58.080.000
 complessivi); si indica poi la  quota  da  assegnare,  fittiziamente,
 alla  popolazione,  a compenso degli usi civici liquidati (nel nostro
 caso, 1/6 del terreno gravato); in  terzo  luogo,  con  una  semplice
 moltiplicazione, si calcola il controvalore monetario di questa quota
 (nel caso di specie, L. 9.680.000); infine, in ragione dell'interesse
 legale  sul  valore  della quota, si determina l'ammontare dell'annuo
 canone enfiteutico, da pagare fino alla affrancazione definitiva (nel
 caso di specie, L. 484.000).
    2.4. - La regola regionale prescrive come, in caso di liquidazione
 degli usi civici, vada determinato il valore delle aree gravate,  non
 dice  espressamente  che  il  corrispettivo  della liquidazione debba
 essere necessariamente e prioritariamente commisurato a  tal  valore,
 invece che a quello dei diritti da liquidare; in breve, essa non dice
 espressamente  cio'  che  vi legge la prassi amministrativa.  Poiche'
 questa non puo' assumere valenza normativa senza o contro la volonta'
 del legislatore, si potrebbe ritenere - e il  giudicante  altrove  ha
 ritenuto:  vedi sentenza in proc. n. 138/1993, per Monterotondo, agli
 atti - che quella regola non e'  destinata  a  trovare  applicazione,
 quando,  come nel caso di specie, il corrispettivo della liquidazione
 vada stabilito, per volonta' della legge dello Stato, in misura pari,
 non al valore delle aree gravate, ma al valore dei diritti.  In  tale
 ipotesi  interpretativa,  tuttavia,  resterebbe  da spiegare quando e
 come vada applicata la regola diversa, posta dall'art. 4 della  legge
 regionale  Lazio  3  gennaio 1986, n. 1.  Ora, se non andiamo errati,
 non  esiste  neppure  un  caso  in  cui,  nel  procedimento  per   la
 liquidazione  dei  diritti  civici,  possa o debba aversi riguardo al
 valore delle terre, invece che a quello degli usi da liquidare.   Per
 la legge nazionale, infatti, anche nel caso di liquidazione degli usi
 civici  per  scorporo,  l'estensione  delle  quote  da assegnare alla
 popolazione va determinata in primo luogo in rapporto al  tipo  e  al
 valore  dei  diritti  civici;  per esempio, per i diritti essenziali,
 essa dovra' essere compresa tra  un  ottavo  e  la  meta'  del  fondo
 gravato  (art. 5, comma secondo, della legge n. 1766/1927), ma potra'
 essere ulteriormente ridotta allorche' si tratti di un solo  diritto,
 che  a  giudizio  del commissario sia di tenue entita' ( ..) (art. 5,
 comma quinto, della legge n. 1766).   In altri  termini,  secondo  la
 legislazione nazionale, anche in caso di liquidazione in natura o per
 scorporo,  l'ammontare del corrispettivo deve essere prioritariamente
 determinato,  sia  pure  in  modo  forfettario e con criteri di larga
 massima, in misura proporzionale al valore dei diritti; solo  in  via
 subordinata,  si  potra'  tenere  conto  del  valore  delle  terre da
 assegnare (art. 6, comma primo, della  legge  n.  1766/1927)  con  la
 conseguenza  che,  in questo caso, per il reciproco intreccio dei due
 criteri, quanto piu' sara' elevato il valore della terre  per  unita'
 di  superficie,  tanto piu' dovra' diminuire l'estensione della quota
 da scorporare.  Secondo la prassi applicativa in  uso  nella  regione
 Lazio,  al  contrario,  l'estensione  della  quota  di scorporo e' la
 variabile indipendente, da determinare in via  equitativa,  cioe'  in
 modo   assolutamente   discrezionale  o  al  massimo  in  analogia  a
 precedenti valutazioni per la liquidazione  degli  usi  civici  (cfr.
 perizia Randolfi, pag. 6); a tale quota puo' essere sostituito il suo
 equivalente  monetario,  calcolato  in ragione dei diversi valori del
 suolo  e  del  diverso  impatto  della  rendita   edilizia;   nessuna
 considerazione  e'  prescritta,  in  ogni  caso,  per  il  valore dei
 diritti.  Quale che sia stata l'intenzione del legislatore regionale,
 tale prassi si adegua nelle linee sostanziali al dettato dell'art.  4
 della  legge regionale n. 1/1986 e trova in questo il suo fondamento,
 colmandone le lacune applicative;  essa,  in  altri  termini,  ha  un
 valore  ermeneutico  privilegiato,  mostrando  quale sia, nel diritto
 vivente, il contenuto normativo assegnato alla norma in  esame.    E'
 del  tutto  evidente,  d'altra  parte,  che la disciplina in tal modo
 posta e applicata non  e'  affatto  integrativa,  ma  sostitutiva  di
 quella  dettata  dalla legge nazionale; essa non puo', dunque, essere
 disapplicata,  limitandone  il  campo  di  applicazione   per   modum
 interpretationis,   perche'   tale   interpretazione  restrittiva  si
 risolverebbe in realta' nella sua abrogazione, che non e'  consentita
 al giudicante.
    2.5.  -  Conviene  dunque  esaminare se la normativa regionale, in
 materia di determinazione dei corrispettivi di liquidazione degli usi
 civici, quale risulta dall'art. 4 della legge regionale n.  1/1986  e
 dalla  prassi  teste'  descritta,  non  contrasti per avventura con i
 principi della Carta costituzionale.    Dalle  stesse  considerazioni
 svolte  al  punto  precedente  risulta  all'evidenza  come  la regola
 regionale si ponga in contrasto  con  i  diversi  principi  stabiliti
 dalla  legge  dello  Stato  e dunque, indirettamente, con l'art. 117,
 comma  secondo,  della  Costituzione   italiana;   tale   preliminare
 conclusione,   tuttavia,   va  meglio  argomentata  in  relazione  al
 carattere fondamentale della  disciplina  stabilita  dalla  normativa
 nazionale.    Questo  carattere  emerge  indirettamente  dagli  altri
 profili di illegittimita' costituzionale, che la disciplina impugnata
 presenta, per contrasto con gli artt. 3  e  42,  terzo  comma,  della
 Costituzione.
    2.5.1.  -  Il contrasto con l'art. 3 della Costituzione deriva dal
 fatto che, secondo la normativa regionale, il medesimo diritto civico
 dovrebbe essere compensato in maniera profondamente diversa da zona a
 zona, non in ragione della diversa produttivita' dei  suoli  o  della
 diversa   quantita'  del  raccolto  prevedibile,  cioe'  per  ragioni
 intrinseche al contenuto del diritto, ma in  ragione  di  un  fattore
 esterno   al   diritto   stesso,   come   l'intervenuta   o   sperata
 urbanizzazione.  Il diritto civico viene in tal modo sradicato  dalla
 sua  funzione  agraristica,  e  trasformato in una quota astratta del
 valore    complessivo    delle    terre,    della    quale    vengono
 contraddittoriamente        riaffermate       inalienabilita'       e
 imprescrittibilita', nel momento stesso in cui essa forma oggetto  di
 un'alienazione  amministrata;  il  diritto civico viene soprattutto a
 perdere, cosi', ogni carattere di diritto reale  sulla  terra  ed  e'
 trasformato  in un diritto di prelievo monetario, il cui ammontare e'
 rimesso  alla   discrezionale   determinazione   dell'amministrazione
 competente,  entro  il  limite, a sua volta ampiamente discrezionale,
 del valore di stima dell'intero territorio gravato.  Si consideri che
 l'amministrazione procedente ha il potere discrezionale di  stabilire
 quando  ricorrano  i  presupposti per la liquidazione in denaro o, in
 alternativa, i presupposti per la liquidazione mediante  scorporo  e,
 per  converso,  almeno  in  Lazio,  il potere di riconoscere l'intero
 terreno gravato alla comunita' locale, imponendo a questa  un  canone
 in  favore  del proprietario (c.d affrancazione inversa; cfr. art. 7,
 comma secondo, della  legge  n.    1766/1927);  si  comprende  allora
 perche'  il "gravame" di uso civico, cioe' l'onere reale o pecuniario
 da sopportare per la sua liquidazione, sia cosi' temuto.  Esso, nella
 prassi amministrativa seguita al d.P.R.  n.  616  del  1977  e  nella
 legislazione  regionale d'attuazione, come quella che qui si esamina,
 non tiene nessuno dei caratteri fondamentali del diritto  soggettivo,
 il  quale  in primo luogo deve veder segnati obbiettivamente i propri
 limiti in rapporto ai diritti altrui. Per  gli  usi  civici,  invece,
 questi  limiti  vengono  stabiliti, in via amministrativa, al momento
 della    loro    liquidazione;    alla    massima    discrezionalita'
 amministrativa, quale risulta dal sistema della legge regionale Lazio
 n.  1/1986, corrisponde negli interessati non un diritto di contenuto
 certo e confrontabile con diritti analoghi,  ma  una  soggezione  dal
 contenuto  variabile  e  suscettibile  delle  piu'  diverse  forme di
 contrattazione.   La lesione  del  principio  di  eguaglianza  assume
 dunque,  nel  caso  di  specie,  anche  la  implicita connotazione di
 negazione della struttura tipica del diritto  civico,  che  non  puo'
 esser  confidato,  neppure  per  la  determinazione del suo contenuto
 pecuniario, alla pura  e  aleatoria  discrezionolita'  di  un  organo
 amministrativo.
    2.5.2.  -  Al  contrario,  il  contenuto  del  diritto  civico  va
 ricollegato alla riconosciuta facolta' per un determinato  gruppo  di
 persone   di  prelevare  dalla  terra  altrui  particolari  frutti  o
 utilita',  variamente  esemplificati  dall'art.  5  della  legge   n.
 1766/1927,  ma  sempre  in  qualche modo oggettivamente determinati o
 determinabili nello loro consistenza e nel loro valore.    Ora,  come
 abbiamo  visto,  la  disciplina  regionale finisce per attribuire una
 parte della rendita urbana alla collettivita'  degli  utenti  civici,
 senza  che  cio' sia giustificato dal contenuto e dalla struttura del
 diritto in questione; dunque, essa confisca tale quota della  rendita
 al  proprietario delle terre gravate, senza indennizzo alcuno e senza
 valide ragioni di utilita' generale, ponendosi pertanto in  contrasto
 anche  con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione.  Sul punto non
 sono necessarie altre considerazioni in diritto, ma puo' essere utile
 un raffronto in fatto tra il corrispettivo  liquidato  dalla  perizia
 opposta,  in  base  ad  una  stima  del valore di mercato del terreno
 gravato - dunque, in forza dei criteri stabiliti  dall'art.  4  della
 legge  regionale  n. 1/1986 -, con quello liquidato (vedi sentenza in
 proc. n. 138/1993, per Monterotondo, in atti), in base ad  una  stima
 del diritto oggetto della liquidazione, dunque, ai sensi dell'art. 7,
 comma  primo,  della  legge n. 1766/1927.  Quest'ultimo risulta dalla
 capitalizzazione al 5% annuo del prezzo del pascolo  ricavabile  ogni
 anno  da  un  ettaro  di  terra,  detratte le spese; esso, secondo la
 perizia richiamata dalla sentenza citata, ammonta a L. 2.679.760  per
 ettaro  ed  e'  rapportabile,  da un lato, al valore di mercato di un
 quintale di fieno, dall'altro, alla  produttivita'  annua  media  del
 terreno  considerato.    Al  contrario,  secondo  il  criterio di cui
 all'art. 4 della legge regione Lazio n. 1/1986, come applicato  nella
 prassi  amministrativa,  si  parte dalla destinazione urbanistica del
 terreno considerato e dalla volumetria su di esso edificabile in base
 agli  indici  di  piano;  se  ne  stabilisce  poi,  con  un  generico
 riferimento   alle   caratteristiche   intrinseche   ed   estrinseche
 dell'immobile  e  alle   valutazioni   gia'   espresse   in   passato
 dall'ufficio  procedente,  il valore di mercato (L. 12.000 al mq); si
 determina, senza alcuna giustificazione e senza alcun riferimento  al
 valore  del  diritto  collettivo da liquidare, la porzione di terreno
 pertinente alla popolazione (1/6 del totale); si  calcola  infine  il
 capitale  di  affranco  e il canone annuo relativi o tale quota.  Per
 un'area gravata dell'estensione di quella del Filippeschi (mq 4.840),
 a parita'  di  ogni  altra  variabile,  risulterebbe  pertanto,  alla
 stregua  della  prima  valutazione,  un  capitale  di  affranco di L.
 1.297.004, alla stregua della seconda, un capitale di affranco di  L.
 9.680.000  (oltre sette volte tanto), con una confisca ingiustificata
 della rendita urbana pari alla differenza tra i  due  valori.    Alla
 luce di questa differenza, destinata ad aumentare imprevedibilmente a
 seconda  dei  casi e delle opportunita', si comprende meglio per qual
 ragione la regione si attesti nell'applicazione di  una  regola,  che
 appare   in   contrasto   con   alcuni  principi  fondamentali  della
 Costituzione e, dunque, anche con i principi fondamentali della legge
 dello Stato regolatrice dello materia.  Un'ultima considerazione, non
 del  tutto   marginale.   Il   tecnico   incaricato   della   perizia
 amministrativa  non  e' un dipendente regionale, ma un professionista
 iscritto  all'albo  dei  periti  demaniali;  quella   differenza   e'
 destinata pertanto a ripercuotersi anche sui suoi compensi.
    2.6.  -  La  rilevanza  della  prospettata  questione  e' di tutta
 evidenza: premesso che i terreni del Filippeschi si assumono  gravati
 da  uso  civico  di pascolo annuale (relazione CTU Benedetti, pag. 7,
 concl.), in tanto il giudicante potra' disapplicare la delibera della
 giunta regionale, che liquida quei diritti sulla base del  valore  di
 mercato  dei  suoli  gravati,  in  quanto  venga rimossa la normativa
 regionale che impone tale criterio di  liquidazione;  in  tanto  egli
 potra' provvedere alla nuova liquidazione sulla base del valore degli
 usi  da  liquidare,  in  quanto  per  tale  valutazione  possa  farsi
 esclusivo riferimento ai criteri stabiliti dalla  normativa  statuale
 piu'  volte  richiamata,  l'art.  7,  comma  primo,  della  legge  n.
 1766/1927.